L’insieme monastico di Sanchi non é menzionato in alcun testo antico, a dispetto del carattere monumentale e del numero delle sue costruzioni nonché del fatto che si tratta di una fondazione dell’imperatore Ashoka.

La ragione può essere che Sanchi non é legato a nessuno dei luoghi in cui Buddha manifestò la sua presenza nel corso delle sue vite anteriori o della sua esistenza terrestre. Sanchi si trova a pochi chilometri da Vidisha, una delle città più prospere all’epoca di Ashoka dove l’imperatore aveva preso moglie quando era viceré di Ujjain. Deriva da questo probabilmente l’interesse dell’imperatore per Sanchi dove innalzò una colonna in pietra su cui furono incisi i suoi famosi editti. In seguito re di altre dinastie contribuirono alla crescita di questa fondazione: in particolare gli Shunga cui si deve la ricostruzione in pietra dello stupa più grande nel II sec. a.C. con la sua balaustra e  gli Shatavahana cui si deve la costruzione dei quattro portici dello stesso monumento nel primo secolo a.C..

Per altri monumenti del sito i lavori proseguirono sotto la dinastia dei Kushan, dei Gupta e, nel medioevo, dei Pratihara e dei Paramara quando il buddhismo stava perdendo consenso in India.  Pertanto il modesto villaggio di Sanchi rappresenta oggi uno dei più importanti siti dell’arte indiana conservando, tra l’altro, quello stupa che Ashoka

aveva edificato certamente per custodire le reliquie di Buddha.  In realtà Sanchi conserva sia diversi altri stupa, sia alcuni  monasteri e templi buddhisti (vihara e chaitya),  ma è lo stupa principale che si impone all’attenzione di studiosi e visitatori.

 

Ciò per l’eleganza dei suoi portici (torana) e della sua balaustra (vedika) che sono la trasposizione sulla pietra di una architettura concepita per il legno con una minuziosa e delicata realizzazione di sculture che illustrano le vite anteriori (jataka) del Buddha, episodi della sua vita terrena e gli eventi che segnarono l’avvento del buddhismo.

 

 

Una sorta di bibbia illustrata a uso dei pellegrini che accorrevano sulla collina di Sanchi,  bibbia che, miracolosamente, si è conservata fino ad oggi. I torana sono composti da due colonne che sopportano una sovrastruttura formata da tre architravi che appoggiano su dei montanti. I piloni sono coronati da un capitello molto elaborato con sculture in altorilievo rappresentanti elefanti o leoni o nani. Sulla parte esterna di ciascun capitello si profila una elegante figura di yakshi – genio delle foreste- che sembra reggere la sommità dell’architrave inferiore.

Sulla sommità di ciascuna sovrastruttura si trovano i simboli del buddhismo e in particolare il più importante, la ruota della legge. Piloni, montanti e architravi sono ornati da una profusione di bassorilievi caratterizzati da grande ricchezza iconografica.

Non è presente l’immagine del Buddha nella sua ultima dimensione umana, ma esso è rappresentato nella moltitudine delle sue vite anteriori (jataka), spesso sotto forma di un animale. Gli jataka sono il tema dominante dei rilievi narrativi con i quattro grandi momenti dell’esistenza terrestre dell’illuminato e gli eventi che segnarono l’avvento del buddhismo: la nascita, simbolizzata da un fiore di loto o da una donna ( Mayadevi ,la madre di Buddha?) bagnata da due elefanti, la sua illuminazione (bodhi) rappresentata da un trono vuoto sotto l’ashvattha, il primo sermone, tenuto nel parco dei daini a Sarnath raffigurato da una ruota della legge su un trono e, infine, la sua

totale estinzione (Parinirvana), rappresentato da uno stupa.

L’incredibile bellezza e ricchezza dello stupa 1 con i suoi torana fa passare in secondo piano tutte le altre opere presenti sull’area che pure meriterebbero grande attenzione, come, ad esempio, il piccolo tempio di epoca Gupta (IV-V sec. d.C.) di semplice architettura, con una cella preceduta da un portico a quattro colonne, e di chiara influenza greca.