La visita di una qualsiasi regione dell’India non può prescindere da una attenta  considerazione della componente spirituale del Paese, in particolare legata all’induismo e alle altre religioni da esso derivate.

Ci si può limitare ad osservare i templi antichi e nuovi, la loro architettura, le raffinate sculture,

ma anche il visitatore distratto comprende come queste splendide costruzioni siano un tutt’uno con le folle di fedeli e pellegrini che le invadono quotidianamente per pregare, celebrare le  feste e i riti, ricordare con complesse cerimonie i defunti.

Quando poi ci si trova ad assistere ad uno di quei riti, come nelle immagini seguenti,

si può provare a comprenderlo, almeno in parte, in base a quanto  si é letto sull’argomento e alle domande che é possibile fare agli stessi partecipanti che ho sempre trovato disponibili a dare spiegazioni e ad aiutare a penetrare nei complicati significati rituali.

Il rito di offerta dedicato ai defunti si chiama generalmente shraddha e deve essere eseguito da un discendente maschio. E’ questa una delle ragioni per cui gli hindù hanno un desiderio quasi ossessivo di avere un discendente maschio. In hindi figlio é “putra” (derivato dal sanscrito) dove PU significa inferno e TRA , da Tran, é colui che protegge: pertanto il figlio, che protegge  dall’inferno, compie i riti e le cerimonie che aiutano l’anima liberata a trovare un nuovo corpo spirituale. E’ la tradizione del Pind daan, risalente ai tempi vedici (Pind corpo, daan carità).

Sono necessari 10 giorni di pind daan per “creare” un corpo al defunto. Dopo 13 giorni dalla morte si offre ai brahmini, ai santi e ai saggi del cibo in memoria del defunto (Shraddha). Da questa  cerimonia, eseguita come gesto di gratitudine verso il defunto, derivano pace interiore e benevolenza oltre alla convinzione della salvezza del congiunto.

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Surya, la luce suprema, é una delle principali divinità indiane che ritroviamo anche nelle tradizioni buddhista e jainista. Nel Ramayana e nel Mahabharata é indicato come il padre spirituale di Rama e Karna.   Surya era particolarmente adorato nel periodo vedico, poi, dal medioevo, ha perso progressivamente importanza e si é manifestata la tendenza a “fonderlo” con altre divinità, come Visnù o Shiva, non edificando più templi a lui dedicati.

A Modhera in Gujarat c’è uno dei  templi più antichi dedicati a Surya, costruito nel 1027 da Bhimdev I, re della dinastia dei Solanki che si ritenevano  discendere dal Sole. E’ stato in parte distrutto dai Mahmud di Ghazni, ma da quello che resta traspare imponenza e arte raffinata. E’ preceduto da un pozzo, Surya Kund, con originali geometrie di scalinate a gradoni contenenti  108 templi minori.

Era stato progettato in modo che i raggi solari illuminassero il dio Surya all’alba dei giorni di equinozio. Il tempio comprende: la Sabha Mandap, una sala ottagonale con 52 colonne aperta su quattro lati e utilizzata per le riunioni, con sculture che rappresentano scene del Ramayana, del Mahabharata e della vita di Krishna;

la Guda Mandap, il santuario vero e proprio, a forma di loto, in cui era collocata la statua del dio Surya e dove, tra l’altro, sono scolpite le dodici rappresentazioni del sole secondo i mesi dell’anno.

Altre sculture erotiche ricordano i templi di Khajuraho.

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Il simbolismo dell’acqua é sempre presente nella vita spirituale dei diversi popoli e accomuna religioni diverse. Nell’induismo l’acqua é sacra, tanto che molto spesso i templi vengono edificati accanto a un corso d’acqua: é un elemento associato a Visnù, colui che detiene il dharma – la legge- chiamato anche Narayana ovvero colui che risiede sulle acque.

Nell’induismo vengono praticati rituali, offerte, preghiere, riti funebri legati all’acqua. Ad esempio il Purna Kumbha consiste nel riempire una brocca con acqua, foglie di mango e noce di cocco: la brocca diviene un oggetto sacro riferito a Varuna, garante dell’ordine cosmico, del cielo e della pioggia e rimanda al culto della fertilità e del nutrimento della terra.    Junagadh, é una città poco frequentata dai viaggiatori, ma nota agli hindù per il Bhagvanath Mela, festa di 5 giorni nel mese di Magha ( gennaio-febbraio), festa che attira folle di sadhu

e celebra il momento in cui Shiva eseguì la danza cosmica di distruzione. A Junagadh, all’ingresso di un tempio, diversi gruppi di fedeli compiono rituali legati all’acqua.

Tra gli altri c’é una famiglia costituita dai genitori e due figli maschi che sta celebrando un rito officiato da un bramino.

Chiedo se posso assistere; rispondono tutti affermativamente e mi invitano a sedere accanto a loro; dico che preferisco restare in piedi e scattare anche qualche foto. Il bramino riprende a leggere da un testo in sanscrito (la cui comprensione é esclusiva di alcuni appartenenti alla casta braminica oltre che di studiosi).

Si sta celebrando un rito per il  nonno dei due giovani, l’attore principale é il figlio maschio maggiore: é lui che, seguendo le istruzioni del bramino,  dopo essersi purificato,

si avvicina all’immagine del nonno defunto per trasferire un’offerta votiva

Il rito é molto lungo e, dopo più di un’ora, il bramino accorda una pausa. Scambio con la famiglia qualche frase e apprendo che il ragazzo più grande si é da poco laureato in medicina e si sta specializzando come anestesista, mentre il minore studia informatica. Danno tutti una grande importanza al rito che stanno celebrando, ritengono che sia qualcosa di giusto e doveroso nei confronti del nonno e credono che una corretta esecuzione possa aiutare il caro estinto nella successiva reincarnazione.

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Il tempio di Somnath, a picco sul mare, é uno dei 12 maggiori santuari sacri di Shiva. Secondo la leggenda il dio della luna Somraj lo edificò la prima volta in oro, Ravana lo ricostruì d’argento, Krishna in legno e Bhimdev, nell’XI secolo, in pietra. All’epoca il tempio era talmente ricco da contare 300 musicisti e 500 danzatrici, ma nel 1024 Mahmud di Ghazni lo distrusse dopo averlo depredato.

In seguito fu ricostruito e distrutto più volte dai musulmani, fino alla ricostruzione attuale del 1950.

Prima di entrare, scalzi, nel recinto del tempio bisogna lasciare al “guardaroba” macchina fotografica, cellulare e borse. Le foto pertanto sono quelle  fatte prima dell’ingresso.

In fila ordinatamente, uomini e donne separatamente, si raggiunge il  cuore del tempio dove un lingam nero viene continuamente bagnato dai sacerdoti; l’acqua scorre poi all’esterno e i fedeli la  raccolgono in appositi contenitori.

La variopinta folla  arriva da ogni parte non solo  dell’India come testimonia il pellegrino con il caratteristico copricapo nepalese

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La collina di Shatrunjaya, nei pressi della cittadina di Palitana, é uno dei più sacri siti del pellegrinaggio Jainista. Sulla sommità un complesso di mura fortificate, erette dopo il XIV secolo per resistere ad attacchi e incursioni, racchiude un sorprendente insieme di circa 900 templi giainisti.

Per accedere al complesso religioso bisogna vestire in modo rispettoso e non portare articoli di pelle comprese le scarpe; non é consentito portare apparecchi fotografici ( i controlli sono rigorosi), ma è permesso avere il cellulare ( con il quale ho scattato qualche foto, sempre all’esterno dei templi, eccetto in un caso dove era permesso). Il devoto giainista aspira a salire sulla sommità della collina almeno una volta nella vita. Le regole per lui sono severe, in linea con i rigori della fede giainista. Il cibo non può essere né mangiato né portato per strada. La discesa deve iniziare prima che sia sera, nessuna anima può rimanere in cima alla montagna sacra durante la notte.

Per raggiungere la cima della collina bisogna salire più di 4000 gradini; lungo le scalinate si incontrano piccoli templi con fonti di acqua potabile dove i pellegrini possono sostare e riposare.

I templi sono raggruppati in aree recintate (tunk), ognuna con un tempio principale e altri minori.

Una volta superata la prima porta si incontra il tempio musulmano di Angar Pir, santo musulmano che impedì un attacco Moghul.

Le donne che desiderano avere un bambino lasciano lì in offerta, presso la tomba del santo, culle in miniatura.

Il tempio principale é dedicato al primo Tirtankara, Adinath, fondatore del giainismo che, secondo la tradizione, meditava sotto un albero sulla sommità di questa collina. E’ difficile dedurre l’età di costruzione dei singoli templi, in quanto  continui interventi e cambiamenti  hanno spesso modificato alcuni dettagli originali; d’altra parte anche durante la visita ho trovato diversi cantieri aperti.

Al di là dei monaci e delle monache giainiste i fedeli, nella stragrande maggioranza, sembravano appartenere ( a differenza dei fedeli che si incontrano nei santuari induisti) a classi particolarmente agiate: le donne indossavano  sari preziosi ed eleganti e gli uomini non erano da meno nei loro abiti tradizionali. Le disponibilità finanziarie dei fedeli giainisti spiegano anche gli investimenti nella manutenzione e nell’abbellimento dei loro luoghi di culto.

I due principali gruppi di giainisti sono Svetambara e Digambara.   Svetambara – vestiti di bianco-  in relazione alla pratica ascetica di indossare abiti di cotone bianco a differenza dei Digambara- vestiti di cielo- che praticano l’ascetismo nudi.  I templi giainisti di Shatrunjaya sono tutti Svetambara tranne uno.