A circa 1000 km a ovest della costa dall’Ecuador, l’arcipelago vulcanico delle Galapagos, con  18 isole più grandi e altre di piccole dimensioni, costituisce un habitat unico per diverse specie animali e vegetali. Poco più di 8000 Kmq complessivi, spesso un paesaggio lunare privo di vegetazione, un ecosistema particolarmente fragile ( e molto protetto). Darwin vi soggiornò per poco più di un mese nel 1835 e molti hanno voluto collegare la formulazione delle sue teorie all’osservazione delle specie endemiche delle Galapagos: in realtà nel suo “L’origine della specie”, pubblicato nel 1859, i riferimenti alle Galapagos sono molto scarsi. Al di là delle descrizioni scientifiche,  le immagini possono rappresentare meglio di tutto questi lembi di terre vulcaniche nel mezzo dell’ Oceano Pacifico.

Il modo ideale di visitarle per apprezzarne a pieno le peculiarità è quello di sostare qualche giorno sulle isole maggiori (Santa  Cruz,  Isabela e San Cristobal) alternando il soggiorno con una “crociera ” di una settimana per poter raggiungere le isole più decentrate e che non possiedono strutture ricettive. Naturalmente l’attuazione di quanto sopra dipende dal tempo disponibile e dalla stagione climatica . In particolare ottobre, almeno in teoria,  dovrebbe rappresentare un periodo favorevole sia per l’attività della fauna  terrestre che marina, sia perché è un mese che rientra ancora nella stagione “secca”. In realtà il cambiamento climatico causato dal niño ha stravolto queste caratteristiche per cui il tempo risulta più instabile e piovoso e il mare, a volte, molto più mosso con onde alte fino a 7-9 metri.

Unica nota positiva, per immersioni e snorkeling,  è la temperatura dell’acqua di 21-23 °C , ovvero 5-6 gradi più  di quella media di questo mese. Pertanto la mia visita delle Galapagos si è concentrata su una sosta di 9 giorni sulle isole di Santa Cruz e Isabela, con escursioni in giornata con lance veloci ìn altri siti e isolette in funzione delle opportunità climatiche.

Queste modalità, se da un lato non consentono di navigare fino alle isole più remote, dall’altro permettono di vedere i diversi ambienti caratteristici delle isole maggiori con spostamenti a piedi, in bici o in auto a seconda delle distanze. Ed è  sorprendente la varietà di ambienti che si riesce a vedere passando dallo snorkeling tra squali e tartarughe marine alla salita lungo le pendici di vulcani attivi tra opuntias e gigantesche tartarughe terrestri. Sull’isoletta di Tintorera, a circa 30 minuti da Isabela, é possibile incontrare una grande varietà di specie: dai pinguini, unici che vivono ai tropici ( Isabela é attraversata dall’equatore nella parte nord), che purtroppo soffrono particolarmente il cambiamento climatico,

alla sula piediazzurri (che comunque non vive esclusivamente nelle Galapagos),

alle colonie di iguane marine

In un braccio di mare che separa l’isolotto da un grande scoglio è possibile la presenza di tartarughe e di numerosi squali : questi, denominati Tintoreras come l’isola, dalla lunghezza di 120-140 cm., sostano di giorno in questa specie di canale dove, a causa delle maree, c’é quel movimento costante di acqua di cui gli animali hanno bisogno per la loro respirazione

la notte poi vanno a caccia in cerca di nutrimento; lo snorkeling nel canale, nuotando lentamente sopra decine di squali é davvero una bella esperienza

D’altra parte non si deve essere esperti o studiosi di biologia per apprezzare uno dei pochi luoghi della terra in cui, ancora oggi, l’influenza umana è ridotta al minimo e dove gli animali, molti dei quali non vivono in nessun altro posto, si comportano come se gli uomini non esistessero.  Sulle isole maggiori sono raggiungibili  spiagge incontaminate, attraversando spesso un paesaggio dominato dalle opuntias, piante di cactus particolari e tipiche del suolo vulcanico delle Galapagos che hanno un ruolo rilevante nell’ecosistema: in effetti i frutti di queste piante, che a Santa Cruz raggiungono dimensioni notevoli, sono di nutrimento per iguane e tartarughe.

Una volta raggiunta la spiaggia ci si bagna tra leoni marini e cormorani che si tuffano a pescare ignorando del tutto la presenza umana

Il maggior problema per l’ecosistema delle isole deriva dall’introduzione di animali domestici, in particolare nelle isole più estese. In pochi anni capre, maiali e ratti hanno decimato le specie indigene  e, al momento, nonostante le misure prese, bestiame, cani, gatti, asini, ratti etc.. costituiscono serie minacce.

Anche centinaia di specie di insetti, una volta non presenti nell’arcipelago, sono responsabili di sensibili danni: una vespa  causa la diminuzione drastica di bruchi, principale nutrimento per i fringuelli,  oppure una specie di formiche si introduce nel carapace delle tartarughe giganti con gravi danni per questa specie. Anche le piante introdotte ( circa 800 specie!!) hanno provocato danni; un esempio su tutti è il rovo che, laddove cresce, riduce del 50% la biodiversità.

Altri problemi derivano dall’agricoltura, in quanto una parte della popolazione tende a considerare il parco come un limite alla coltivazione di prodotti. In realtà si promuove la produzione di alimenti biologici di alta qualità, ma, in ogni caso, le pratiche agricole alterano ambiente e paesaggio. Inoltre le risorse idriche sono piuttosto scarse: sorgenti prosciugate, falde costiere a volte inquinate, e acqua degli altopiani non facilmente sfruttabile.

Alcune specie come i pinguini, le tartarughe marine verdi e le iguane marine sono particolarmente danneggiate dall’innalzamento della temperatura e del livello del mare legato al riscaldamento globale. Il niño, in particolare nel 1998, anno risultato devastante, ha alterato diversi ecosistemi delle Galapagos. Il 95% delle specie presenti al momento del primo contatto umano risultano ancora esistenti: si sono estinte le tartarughe giganti di Pinta, e le iguane terrestri dell’isola di Santiago.

Ma, in ogni caso, diversi animali sono minacciati o a rischio di estinzione  tanto che le strategie dei biologi tendono all’eliminazione delle specie non autoctone attraverso abbattimenti, nonché a  programmi di reintroduzione e tutela dei nidi, riforestazione e recinzioni protettive…. Al momento risultano circa 30000 residenti fissi nelle isole che si comportano in modo responsabile e attento all’ambiente. Non è possibile soggiornare nelle isole senza residenza o permesso di lavoro, per farlo o si deve aver vissuto almeno 5 anni stabilmente prima del 1998 o, dopo quell’anno, è necessario esservi nati o aver sposato un residente stabile.

Inoltre, per visitare i siti turistici ufficiali (70 sulla terra ferma  e 79 in mare), bisogna essere sempre accompagnati da una guida, regola che vale per tutti i siti dell’Ecuador.

Le tartarughe giganti, da cui prendono il nome le isole, meritano un discorso a parte. Sono le tartarughe terrestri più grandi al mondo, col carapace lungo circa 150 cm. ed un peso che può arrivare a 300 kg.

A seconda dell’ambiente in cui crescono possono sviluppare due differenti tipi di carapace: il carapace a ‘sella’ oppure quello a ‘cupola’. Gli esemplari che si trovano nelle isole pianeggianti e aride hanno il classico carapace a sella, in quanto  la vegetazione più secca, rada e crescente verso l’alto ( come l’opuntia) obbliga l’animale a estendersi per raggiungere le piante da cui ricava idratazione e minerali.

Invece il carapace ‘a cupola’ è tipico delle isole più umide, dove la vegetazione è più facilmente accessibile.  È un animale particolarmente longevo, potendo facilmente superare i 150 anni.

L’accoppiamento di queste tartarughe con carapace a cupola è possibile in quanto mentre il carapace della femmina  sotto é piatto, quello del  maschio ha forma concava

Nelle Galapagos vi sono 12 specie di tartarughe terrestri giganti, 5 di queste vivono a Isabela ( l’isola più grande con oltre 4000Kmq) in corrispondenza dei 5 vulcani attivi. Di queste 5 specie, 2 sono a rischio di estinzione: per questo, a circa 2 km da Puerto Villamil, é nato il Centro di crescita delle tartarughe. Lì le tartarughe vengono concepite, le uova vengono incubate e, dopo la nascita vengono tenute in diversi settori in funzione dell’età fino a 4-5 anni, ovvero fin quando il carapace risulta abbastanza duro da non essere preda di animali (non autoctoni).

Vengono quindi rilasciate nel loro ambiente naturale in numero di circa 100/anno. Un maschio, portato nel centro dopo un’eruzione vulcanica, sarebbe ” padre” di oltre 1700 tartarughe; ha circa 150 anni ( per entrambi i sessi l’età più feconda parte da 85 anni!). La specie Chelonoidis abingdonii si é estinta il 24 giugno 2012 con la morte dell’ultimo esemplare cui era stato dato il nome di George. Il “solitario George” era stato trovato nel 1971 sull’isola di Pinta, ultimo appartenente a una specie che si riteneva estinta. Per oltre 40 anni i ricercatori hanno cercato invano di farlo riprodurre con femmine di specie molto simili. George é conservato in una teca del centro Darwin di Puerto Ayora e rappresenta un simbolo per la conservazione delle specie del pianeta.