I pozzi a gradini, chiamati vav in Gujarati, sono delle riserve d’acqua o dei laghetti che possono essere raggiunti attraverso delle scale. Sono abbastanza diffusi in India occidentale così come in altre regioni aride. In particolare in Gujarat e in Rajasthan la disponibilità d’acqua è sempre stato un problema cruciale in quanto la zona ai confini col deserto del Thar è caratterizzata da piogge torrenziali in taluni periodi dopo i quali l’acqua scompare. Tra il 200 e il 400 della nostra era alcuni regnanti del Rajasthan iniziarono a costruire pozzi adiacenti a piccoli stagni, poi, migliorando le competenze idrogeologiche, le strutture divennero più complesse fino ad arrivare a pozzi a gradini con serbatoi, canali e dighe al fine di garantire la conservazione e la distribuzione dell’acqua.
Non era trascurabile il fatto che l’accesso dai gradini consentisse una manutenzione molto più semplice del pozzo e una migliore gestione dell’acqua. Col tempo i pozzi divennero simbolo di spiritualità, venivano spesso consacrati e decorati e si prevedevano, al loro interno, degli spazi dedicati alla preghiera di coloro che utilizzavano l’acqua. Sono luoghi legati alla storia, alla cultura e all’architettura dei loro costruttori e la realizzazione era considerata un obbligo, talvolta religioso, per i governanti che, insieme alle classi più agiate, li finanziavano.
Essi, al di là di garantire l’accesso all’acqua, offrivano spazi di aggregazione sociale in particolare nei mesi più caldi. Il numero dei piani non è casuale in quanto l’utilizzo era per ogni classe sociale, ma l’accesso all’acqua avveniva con percorsi differenti per le diverse “caste”. Non era consentito che uomini e donne accedessero allo stesso laghetto, né che appartenenti a caste diverse si incontrassero. Specifici percorsi potevano poi portare ad aree destinate a cerimonie sacre. Voglio ora mostrare alcune immagini del Rani Ki Vav (il pozzo a gradini della regina), ritenuto il pozzo più bello per arte e architettura, non a caso patrimonio UNESCO. Si trova a Patan, capitale del regno Solanki dal X al XV secolo.
E’ un’opera dell’XI secolo iniziata nel 1063 dalla regina vedova Udayamati in memoria del suo re Bhimdev I, fondatore della dinastia Solanki. L’opera, costruita in mattoni e decorata da sculture in pietra, viene terminata intorno al 1090, Nel XIII secolo le grandi piene del fiume Saraswati depositarono nel pozzo grandi quantità di limo e sabbia, quindi inondazioni successive lo interrarono progressivamente fino a seppellirlo del tutto. Negli anni 40 del secolo scorso l’agenzia archeologica indiana riscoprì il sito e nel 1960 iniziò un laborioso processo per riportare alla luce l’intero pozzo con le sue sculture.
Soltanto una parte del pozzo occidentale è ancora esistente; da questa appare che il muro era stato costruito con mattoni e ricoperto con pietra. Da questo muro sporgono mensole verticali a coppie, che sostenevano le diverse gallerie del condotto del pozzo vero e proprio. Queste mensole sono disposte in file e sono riccamente scolpite.
Di fatto è stato progettato come una struttura religiosa, un tempio rovesciato per celebrare la santità dell’acqua. Presenta sette livelli di scale e pannelli scultorei di raffinata qualità. Una struttura di dimensioni imponenti, lungo 64 m, largo 20m e profondo 27m. Una caratteristica unica è il corridoio a gradini suddiviso a intervalli regolari con padiglioni multipiano a pilastri.
Oltre cinquecento sculture principali e oltre mille secondarie rappresentano immagini religiose e mitologiche. I motivi figurativi e le sculture nonché la proporzione di spazi pieni e vuoti offrono un carattere estetico unico.
L’apsaras che sta mettendo il rossetto sulle labbra mi ricorda molto per raffinatezza e stile le sculture dei templi di Angkor.
Sono luoghi incantevoli. L’ india non smette mai di stupire. L’interpretazione fotografica ne esalta il valore