In un breve viaggio nel Casentino ho visitato la pieve di San Pietro a Romena, un luogo di culto cattolico nel territorio del comune di Pratovecchio. Nella pieve e nei suoi annessi opera la Fraternità di Romena che, nel silenzio e nella bellezza del luogo, offre da oltre 30 anni, a chi lo desidera, opportunità di meditazione e/o di incontro. Arrivando da Pratovecchio, appare la parete posteriore della pieve con la splendida abside sullo sfondo di un paesaggio tipico della campagna casentinese con un prato,  filari di alberelli e un gruppo di cipressi. Sulla destra, un po’  più in alto, i resti del castello di Romena cui fa riferimento Dante nel XXX canto dell’inferno.

La pieve  è stata edificata alla metà del  XIII secolo, sopra una precedente chiesa dell’VIII secolo che, come si può vedere dai resti sotto il presbiterio, aveva tre absidi.

Una frana, nel 1678, poi un terremoto, nel 1729, provocarono danni alle prime due campate e alla facciata. Questa venne ricostruita in stile semplice e rustico, in pietre conce e senza elementi decorativi, arretrata rispetto a quella originale, mentre il campanile alla sua sinistra da allora è rimasto sbassato. Nonostante ciò, la pieve rappresenta uno dei più interessanti edifici romanici del casentino.

Sicuramente la parte più rilevante è quella posteriore con l’abside che, prescindendo da piccoli interventi di restauro, si mostra nel suo magnifico aspetto originale. Contando in quest’abside le colonnine, le monofore e altri elementi architettonici classici nello stile romanico, troviamo sempre presente il numero  sette: sono sette le monofore dell’abside , quattordici, due volte sette, le file di pietra, erano sette anche le colonne di ogni navata (ora ridotte a 5). Sette, ovvero il numero che, nelle tradizioni antiche, indica l’incontro dell’umano e del divino, della materia e dello spirito.

L’interno, secondo la classica architettura romanica, presenta tre navate divise da due file di colonne monolitiche collegate longitudinalmente da cinque arcate ( erano sette prima del crollo).

I capitelli grezzi, ma, al tempo stesso,  eleganti, sono quasi tutti diversi tra loro.

Furono realizzati da maestranze lombarde e mostrano sia elementi geometrici e vegetali stilizzati, sia raffigurazioni umane e zoomorfe di grande intensità espressiva, con richiami biblici: angeli e demoni, il bene e il male.

Dalle scritte su due capitelli della navata sinistra è possibile dedurre il nome del committente, Alberico,( ALBERICUS PLEB FECIT HOC OPUS) e la data della costruzione: “TEMPORE FAMIS MCLII” ovvero in tempo di carestia 1152.

Sono arrivato alla pieve intorno a mezzogiorno in una giornata limpida e assolata; non si vedeva nessuno, la porta era aperta e all’interno veniva diffusa una musica che all’esterno non si udiva, nonostante il silenzio profondo del luogo.

Entrando, dalla luce solare che filtrava dalle bifore e dalle poche lampade destinate ad evidenziare i dettagli architettonici, si percepiva immediatamente la sobria armonia del luogo. In sostanza la pieve riusciva a comunicare immediatamente la sua bellezza, invitava ad indugiare sui particolari e faceva comprendere perché è definita “porto di terra”.

 

 

***L’ultima immagine si riferisce ad una tavola attribuita al maestro di Varlungo che è stata trasferita dalla pieve di Romena alla chiesa del Santissimo nome di Gesù a Pratovecchio. L’artista, contemporaneo del Cimabue e attivo a Firenze tra il 1280 e il 1300, sembra prendere spunto dalle più antiche opere di Giotto.