A Roma, negli ultimi 10 anni, c’è stata un’importante crescita di opere di street art sia attraverso iniziative singole, sia attraverso progetti organici che hanno coinvolto interi quartieri. Praticamente in tutti i quadranti della città, escludendo il centro storico, è possibile ammirare murales realizzati da artisti di fama internazionale o poco conosciuti. In proposito risultano di particolare rilievo per le comunità quei progetti nati dal basso che si  pongono l’obiettivo di rendere più bello e vivibile un quartiere, di contribuire a frenare il degrado richiamando l’attenzione di autorità e cittadini e/o di raccontare la storia del quartiere stesso che sovente si tende a dimenticare.

E’ il caso della Pineta Sacchetti e dell’iniziativa di “Pinacci Nostri”. L’ideatore del progetto, Lello Melchionda, ha pensato di far conoscere la storia del quartiere attraverso i murales, e, allo scopo, ha promosso la creazione di un’associazione, “Pinacci Nostri” ( per analogia con Muracci Nostri partita poco prima nel vicino quartiere di Primavalle). In breve tempo, a giugno 2016, Pinacci Nostri inaugura un percorso con 56 murales che partono dall’interno della pineta per diffondersi nelle strade adiacenti del quartiere.

L’inaugurazione, ma anche tutta l’iniziativa, finanziata da residenti e negozianti, è un momento di aggregazione, mentre artisti, noti o esordienti, prestano gratuitamente la loro opera contribuendo a restituire al quartiere l’identità perduta, visto che, anche secondo gli abitanti, l’area residenziale nata all’inizio del ‘900 “più che un quartiere è considerata una strada che porta al Gemelli”. E le opere raccontano la storia del quartiere o un aneddoto o rappresentano un personaggio legato a questi luoghi. All’inizio non è stato facile per i promotori trovare gli spazi e ottenere i permessi, né essere accettati.

L’artista Carlo Gori racconta: “«Dovevamo chiedere il favore di poter utilizzare i muri: il primo è stato quello di via Calisto II che ora presenta una decina di opere.  Lo abbiamo chiesto alle suore e all’inizio non ce lo volevano dare. Abbiamo contattato il loro ordine in Francia e ce l’abbiamo fatta. Mettevamo in giro dei bussolotti, dove la gente poteva lasciare ciò che voleva. In via Calisto II ho lavorato col pennellino piccolissimo per mesi. La funzione era interagire con le persone del posto. Perché conoscessero il progetto, cogliessero le sfumature, e così abbiamo incontrato molti altri artisti del quartiere che si sono uniti a noi».

Dopo il primo anno di attività particolarmente intensa, altri murales sono stati realizzati contribuendo con i loro colori a ravvivare anonime strade di periferia con un linguaggio “verde” sempre attento agli aspetti sociali del quartiere. D’altra parte i membri di “Pinacci Nostri” hanno assunto a loro simbolo proprio il bel parco del Pineto che intendono difendere e valorizzare con la loro azione.

E oggi commercianti e abitanti riconoscono il contributo della street art  nel motivare gli stessi residenti a difendere il quartiere dall’inesorabile degrado,  nel recuperare le radici storiche di un pezzo di città che, in un certo senso, aveva dimenticato se stesso, nello stimolare le migliori energie del quartiere. Ma vediamo alcuni di questi murales partendo da quelli all’interno del parco.

Nel 1973 la società edilizia Pineto, proprietaria dell’area del parco, intendeva abbattere i pini e  costruire edifici con vista su San Pietro. I cittadini occuparono il parco, il Comune espropriò il terreno trasformandolo in parco pubblico. In seguitò il Consiglio di Stato ha attribuito un ingente risarcimento da parte del Comune alla società edilizia. Con questo dipinto dal titolo “la società edilizia non dorme mai” Qwerty sollecita tutti ad essere vigili mentre il personaggio del murale pianta un albero di notte sotto un cielo stellato.

Sempre sul tema ambientale altri murales nel parco: “23 agosto 2016”- realizzato da Pier the Rain e Luca Cioffi che incide i versi di una poesia di Cinzia Michilli dedicata al Pineto- a memoria del giorno in cui 50 ettari del parco andarono in fumo a causa di un incendio, evento che fece pensare di nuovo alla speculazione edilizia.

Hos realizza il  murale  “nel grembo” a rappresentare la natura che protegge, ma nello stesso tempo va rispettata. Uman e i Pittori Anonimi del Trullo con “Cappuccetto rosso” lanciano il messaggio che i veri lupi non sono quelli del bosco.

Appena fuori dal parco Giancarlo Barbera con la sua “Villa Sacchetti” ricorda la costruzione lussuosa e innovativa progettata da Pietro da Cortona nel ‘500 per il cardinale Giulio Cesare Sacchetti.

La villa fu poi abbandonata a metà ‘700 e andò in rovina; quel che rimase fu abbattuto dai Torlonia che acquistarono l’area nel 1859. Ad oggi vi sono solo dei ruderi coperti dalla vegetazione ovvero la base del ninfeo e una fontana a forma di grotta. Molti dei numerosi murales di via Calisto II sono un richiamo alla memoria dei luoghi come sottolineato da quello del noto artista Carlos Atoche dal titolo “Mnemosine” proprio la personificazione mitologica della memoria.

Lungo la stessa strada il murale “La nostra memoria” di Maria Luna Storti.

Quindi “Borghetto Braschi” di Carlo Gori, una rappresentazione di quell’agglomerato prima della speculazione edilizia partita negli anni ’50.

“ Serenata de Paradiso” come omaggio   all’ultranovantenne del quartiere Roberta Gentili, nipote di Romolo, autore del “ Barcarolo Romano”.

“Le pecore al Pineto” di Pino Volpino ricordano i tempi in cui questi animali erano nella proprietà Torlonia, nello stesso luogo divenuto parco in cui oggi passeggiano famiglie con bambini e si fa sport.

Poi sono arrivati i tempi in cui chi abitava nel quartiere non si sentiva cittadino di Roma: lo si deduce dal dipinto di Hos “Vado a Roma” per dire vado in centro.

C’è quindi una serie di murales, anche in strade limitrofe, dedicati ai bambini con riferimenti a quando potevano giocare liberi nel quartiere senza i pericoli del traffico odierno.

Nel dicembre 1992 scoppiò un incendio spaventoso in un albergo del quartiere, l’hotel Giotto, occupato da circa 300 Somali scappati dalla guerra con molte donne e  bambini. Un gruppo cercò scampo sul tetto dove poi furono salvati dai pompieri.

Il murale di Monica Pirone e Emanuele MicParker, “ Giotto’s Fire”, ricorda l’episodio. Mentre il murale di Tina Loiodice “la bicicletta verde” (è anche il titolo di un recente film di Haifaa Al Mansour) ricorda lo stupore di uno di quei bambini somali nel vedere una bicicletta e il suo desiderio di imparare ad andarci.

Lac con “Via Pace e Lavoro” ricorda un altro episodio del quartiere, la costruzione di via Melchiade Papa. La strada prevista in un piano regolatore sin dai primi anni 30, nel ’50 non era stata ancora realizzata. Era praticamente un sentiero che con le piogge diventava un vero e proprio pantano impercorribile d’inverno, nonostante rappresentasse il collegamento, tra l’altro, con la scuola del quartiere.

Gli abitanti stufi di attendere iniziarono essi stessi la costruzione della strada, ma intervennero i carabinieri (a malincuore ricorda qualcuno) a bloccare il tutto arrestando anche alcuni cittadini e interrompendo i lavori. L’eco dell’accaduto però indusse, in breve tempo, il Comune a realizzare l’opera.

Il murale “ La balia” di Violetta Carpino celebra le donne del quartiere che intervenivano quando la madre naturale non era in grado di allattare.(altri tempi, senza latte artificiale). Il murale di Carlos Atoche, “Amazzone addormentata” rappresenta Camilla, personaggio dell’Eneide, ed è dedicato a tutte le donne del quartiere.

“Annarella” di Pier the Rain e Luca Cioffi ricorda la brutta storia di Annamaria Bracci, una bambina di 12 anni di Primavalle, che, scomparsa nel febbraio del 1950, era stata ritrovata dopo diversi giorni priva di vita e con segni di violenze, una vicenda mai chiarita completamente.

Non mancano infine i riferimenti al mondo del cinema e dello spettacolo: dal Marchese del Grillo

al personaggio interpretato da Manfredi in “Brutti. sporchi  e cattivi” il film di Ettore Scola girato in una baraccopoli poco distante,

ad un ricordo della scuola di danza di “Studio1” che era ubicata in questo quartiere.

 

Dal 2016, una volta avviato, il progetto di Pinacci Nostri si è rinnovato anno per anno con nuovi murales e iniziative culturali . Certamente i dipinti della prima fase hanno subito il naturale degrado del tempo proprio della street art e, qualche volta, sono stati danneggiati, ma questo fa parte della filosofia di questa forma d’arte, la stessa filosofia che ha portato l’artista del murale “la balia” a integrare nel corpo della donna dipinta un tag preesistente sulla parete come fosse una cicatrice.