Il manicomio di Santa Maria della Pietà fu inaugurato nel 1914 da Vittorio Emanuele III.  Il complesso, ubicato a Roma nella zona di monte Mario,  costituiva un vero e proprio villaggio, con numerose costruzioni, all’interno di un’area verde di circa 130 ettari con piante d’alto fusto; poteva ospitare 1000 pazienti ed era il più grande ospedale psichiatrico d’Europa. Venne chiuso nel 1999.

Al momento il complesso è di fatto un grande parco della periferia nord di Roma con una parte degli edifici praticamente abbandonati e altri recuperati e destinati a cultura e/o servizi. E tra pinete secolari, runner, bambini che giocano negli spazi dedicati, nel 2015, Maurizio Mequio, il “poeta del nulla”, idea e lancia un progetto di street art, “Caleidoscopio”. Il progetto si realizza con la partecipazione dell’associazione “Muracci nostri” e il supporto della ASL competente che affronta la spesa dei materiali.

Maurizio Mequio, un giornalista, pittore e scrittore che lavora come educatore in un centro di prima accoglienza per migranti che non hanno raggiunto la maggiore età, insieme ad altri 28 artisti italiani e internazionali ( l’elenco -spero completo- in nota alla fine) lavora per creare un insieme di opere nelle quali da un lato  si considera quello che ha rappresentato per tanti anni questo luogo di sofferenza, dall’altro si offre un messaggio di speranza.

Il lavoro, nel 2015, è durato oltre tre mesi. In tale periodo gli artisti hanno prodotto   un significativo contributo per liberare il  luogo dal retaggio di angoscia e dolore riuscendo a confezionare, con i loro disegni e  i loro colori, una nuova veste più vicina al ruolo attuale del parco  e del luogo di cultura nel contesto cittadino.

All’interno del parco, in uno dei vecchi edifici ristrutturati, è nato il Museo della mente: esso, oltre a documentare la storia della vecchia istituzione assistenziale, vuole avviare una riflessione sui temi  della diversità e dell’esclusione sociale. Su queste basi la direzione del museo ha contattato Gomez de Teran, un artista conosciuto per la grande carica espressiva delle sue opere ispirate alla scuola barocca, in particolare caravaggesca.

Gomez ( è lui l’autore del “viandante” del Trullo), nasce a Caracas nel 1980 e, dopo aver  vissuto tre anni a Miami, si trasferisce a vivere a Roma con la madre e i nonni. Da bambino viene influenzato  dai dipinti  delle chiese storiche del centro di Roma, é autodidatta e dipinge lasciando allo spettatore l’interpretazione dell’opera anche perché, secondo lui, spesso queste interpretazioni sono più interessanti di quelle che lo avevano indotto a creare l’opera stessa.

Dalla collaborazione tra Gomez e il Museo della mente sulle pareti dell’edificio nasce un murale, “Le cose che non si vedono”, murale che più di una vera e propria opera di street art è un lavoro su commissione finalizzato a mostrare all’esterno quanto il museo custodisce all’interno: in sostanza un’opera che, oltre a riflettere lo spirito dell’autore, rappresenta simbolicamente l’anima del luogo.

Un percorso artistico sulle due facciate: da un lato rappresentati i cosiddetti pazzi, dallo sguardo terrorizzato e assillati da voci provenienti dalle finestre; dall’altro i loro simili che forse hanno trovato una soluzione nella loro genialità.

Dice Gomez:” “Ho pensato di rappresentare la percezione che ha la società della follia in quanto cosa negativa, da isolare . In verità sono convinto che la follia sia un’etichetta sociale e che anzi, spesso in certa bizzarria risieda uno spirito sensibile, affine all’arte. Io non nasco pittore e per molti anni ho schivato la follia, devo ringraziare la famiglia e gli amici che hanno creduto in me e attraverso la cui fiducia e pazienza ho trovato oggi il modo per esprimermi”. Una sollecitazione a superare paure e preconcetti cercando di conoscere gli altri per quello che sono.

Figure nude che passano da atteggiamenti di sofferenza a un rilassamento da nuova vita.

Gli omaggi e i riferimenti ai grandi del passato non mancano, ed è così che immersi nella natura si creano connessioni con Goya, Schifano, Sofocle, Einstein, Bacon o Merini.

Da ‘lager’ a spazio culturale, l’arte dà così colore agli sguardi grigi e agli animi soppressi, e anima un posto del nostro brutto passato, quando era circondato da reti, sbarre, recinti invalicabili, che forse facevano impazzire anche chi non era pazzo.

………………………………..

Sono nato durante un terremoto, in una notte di luna vuota. Sono nata con due cuori, quattro occhi e il sangue che circola in senso contrario. […] Ho cercato una pietra volante che mi riportasse al luogo a cui appartengo, l’ho cercata sul fondo di tanti bicchieri, nella plastica che respiravo, nelle pasticche dell’altra normalità. Non volevo più sentirmi derisa, non volevo più vedermi giudicato. […] Vincenti tra i normali oggi, potreste sedere rannicchiati affianco a me domani, perché a lungo nessuno è normale.    ( Luis Gomez de Teran)

 

 

 

 

P.S.:   gli artisti del progetto “Caleidoscopio” :   Gomez, Jerico, Atoche, X, Sgarbi, Roncaccia, Loiodice, Lommi, Durelli, Beetroot, Gore, Chew Z, Alvarez, Lus57, Cutrone, Russo, Farinacci, Pirone, Kenji, Zinni, Lenzi, Fast, poeta del nulla, Carpino, Sbordoni, Sabellico, Carletti, Drao, Noire, Leone, Mobydick, Pino Volpino, Giuliacci e i Pat.